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giovedì 18 dicembre 2014

Mysterious ways

Il prossimo marzo del vicinissimo 2015 i miei genitori festeggeranno 50 anni di matrimonio.

Cinquanta. Anni. 

Piu' tempo di quanto io abbia vissuto in terra, fatto alquanto ovvio per le persone di quella generazione e di quella mentalità - le mamme come la mia non restavano incinte prima di 
sposarsi,e i papà come il mio non si sarebbero mai nemmeno permessi di immaginare un accadimento simile.

Piu' tempo di quanto molte coppie del mio mondo conosciuto osino - o sospettino, o temano - immaginare.

Eppure, pur non avendo avuto un rapporto puccipucci, avendo anzi attraversato diversi momenti bassi e anche bassissimi, ai quali ricordo piuttosto chiaramente di aver assistito e a volte pure partecipato, mio padre non vede l'ora di andare a trovare la mia mamma che ora vive in casa di cura - luogo notoriamente superdeprimente, come minimo, anche se si tratta di una location bella, bellissima. 

Lei, da quando Al ha deciso di occuparsi di lei a tempo pieno, manco lo riconosce, anzi per massima beffa del destino - nei rarissimi momenti in cui le sinapsi, urlando come pazze per farsi sentire nel buio di quel cervello ormai deserto e buio, riescono per caso a comunicare qualcosa l'una all'altra - lo prende per suo padre e come tale lo tratta.
Deve esser quantomeno bizzarro  per un uomo di quasi ottant'anni sentirsi apostrofare da una figlia di quattro anni ospitata nel corpo di una donna anziana, che per la verità è sua moglie, con la quale ha vissuto pantaloni a zampa,edonismo reaganiano, rampantismo yuppie e paninari (non tramite me. Io sparavo a vista ad ogni calza Burlington che avesse l'ardire di avvicinarsi alla mia capigliatura gotica), cullando come ultimo sogno il pensiero di una pensione tranquilla e benestante trascorsa insieme.

mercoledì 19 novembre 2014

Fred Flintstone è tornato

Lo sapete già, perchè ve l'ho raccontato piu' volte. 
La cosa piu' complicata da capire, per un emigrato all'estero, è la cultura del popolo che lo ospita ed il modo in cui la comunica.
E,secondo me, piu' l'emigrato in questione è stagionato d'età, piu' gli è difficile comprendere alcuni atteggiamenti. 
Ora, io invece di emigrare due anni e mezzo fa, avrei dovuto farlo almeno vent'anni prima, per evitare il doppio problema di essere realmente un po' vecchiotta  e di conseguenza un po' rigida nel cambiare i miei punti di vista, e allo stesso tempo una specie di adolescente perenne e fuori tempo massimo, sempre talmente fiduciosa nei suoi mezzi da credere che prima o poi tutto le si paleserà nella chiara evidenza dei comportamenti altrui.

Tutto 'sto pippone introduttivo per dirvi che, se già nuotavo in una serie di angosce esistenziali che mi si sono create stando qui in questo angolo di Gallia, leggere certe cose sull'allegato domenicale del giornale di punta della regione non è che mi abbia granchè rincuorato. 

L'articolo, apparso  domenica scorsa nella sezione dedicata alla psicologia, si riferisce alla bugie che si raccontano sul posto di lavoro per evitare problemi che potrebbero manifestarsi in riferimento al proprio privato. Quindi troviamo il  maestro di scuola che si preoccupa che la sua condizione di gay possa destabilizzare i bambini, il bipolare a cui lo psicologo ha consigliato di evitare di scrivere questa cosa nel curriculum,il panettiere analfabeta che si inventa ogni sorta di scusa per non scrivere niente fino al momento in cui almeno le bolle delle forniture prima o poi dovrà pur firmarle e via su questo genere di casi umani, oserei dire un tantinet limite.
Quello pero' che mi ha stesa è la testimonianza della sedicente direttrice finanziaria single e senza figli la quale, traduco e cito , "fino a trent'anni è stata ben contenta di essere molto gradita al datore di lavoro,[in qualità di dipendente che] non deve mai uscire prima per andare a prendere il bambino all'asilo" e che "si dimostra sempre disponibile". 
E fin qui, niente di nuovo sotto il sole. 
Ma poi la  tizia prosegue "...ma a 48 anni, quando hai un'equipe da gestire e delle responsabilità, questa condizione diventa sospetta. Se vai in crisi su un dossier, già mi sembra di sentire il sussurro "Lasciala stare, è una vecchia zitella che vive col suo gatto"(sic).

domenica 9 novembre 2014

Got a light, hunny?

Ho appuntamento alle 14, rito fisso ogni due mesi. 
So che non devo prevedere nulla nel pomeriggio, la seduta sarà lunga, sia perchè rifare il colore ha tempistiche estese, sia perchè da Catherine, la mia parrucchiera ch'ti, non si va solo per i capelli, ma per un rito socioculturale collettivo che sai quando comincia, ma non quando finirà.

Adoro questa donna: giovane,simpatica, allegra, ciarliera all'infinito. E' riuscita a far parlare persino me di tutti i fatti miei, io che da buona sabauda dal parrucchiere non dico una parola, mi limito a chiedere cortesemente il servizio che mi serve e morta li'. 
Persino con Luca, il mio storico pruchè torinese, ci abbiam messo anni prima di cominciare ad intrattenere un rapporto un po' meno che strettamente professionale. 
Io non sono una che ama raccontare i fatti suoi, ho bisogno di conoscere bene le persone con cui mi rapporto, sapere che realmente sono interessate a quello che gli rivelo, altrimenti perchè parlarne? E  poi ci sono le altre clienti, che invece spesso sono curiose come delle scimmie, ma di che cosa poi, non è che conduca una vita chissà quanto interessante. 
E' evidente che il parrucchiere, in generale, non è per me il posto giusto dove fare outing.
A Cat, invece, quasi da subito ho incominciato a raccontare le mie piccole disavventure galliche. 
Sarà perchè, da buona ch'ti, quindi francese del Nord - notoriamente piu' simpatici e aperti dei loro conterranei del Sud, che sono invece chiusissimi e per niente inclusivi ,un misto di piemontese e di ligure al cubo. Per ulteriori informazioni sugli ch'tis guardatevi la versione originale di Giu' al nord - mi ha sommersa di sorrisi e piccole buffe battute indagatorie. 

domenica 12 ottobre 2014

Capra e cavoli

Alcune cose di Torino che mi mancano molto.

La meravigliosa luce autunnale, gli alberi dalle foglie di tutte le sfumature dei colori del fuoco. Una bellissima coperta patchwork  vegetale a scaldare la terra ormai fredda. Una castagna gingia*  in tasca contro il raffreddore, come diceva mia mamma.
* castagna non caldarrostabile dell'ippocastano, re dei viali torinesi. C'è pure il segnale stradale di pericolo di caduta castagne. Giuro.

La nebbiolina in una bella mattina di sole nelle Langhe, mentre si va per vino e ci si concede una trionfale mangiata di funghi.

Una serata  in un pub adeguato - forse neanche esistono piu'  - con una bella pinta di birra irlandese, che sia Guinness o Kilkenny, mentre si chiacchiera ad una tavolata insieme agli  amici di sempre.

Il tempo passato a casa della mia amica Bet a preparare cena mentre sentiamo musica e ci diciamo le cose piu' assurde.

I sardina party organizzati dal mio amico Bobby, ergo 400 persone in 50 metri quadri, ottima musica a palla, e drink di ogni forma e colore (e tasso alcolico a scelta)

I figli delle mie amiche, unici esseri sotto i dieci anni che amo come se li avessi prodotti io, e per cui non sento l'immediato stimolo di cucinarli  come dei graziosi quanto insopportabili arrosticini urlanti.

La dimensione della mia cucina, vero e proprio antro dell"alchimista. Solo li' poteva venirmi voglia di far bollire un chilo di nocciole, ustionarmi le dita pelandole, e preparare un milione di flan.


Piazza Maria Teresa,una delle piu' belle in città

Piazza Carlina (pardon, Carlo Emanuele II),piazza Maria Teresa e piazza Cavour.

Un caffe' con panna al Bodoni, nella piazza omonima. Panna fatta al momento, in coppetta  a parte, cosi' da non raffreddare inutilmente il caffé ristretto e profumatissimo, che va consumato, ça va sans dire, senza aggiungere zucchero.

I giri infiniti alla libreria Feltrinelli di piazza CLN. Guardare ogni copertina, leggere il riassunto, valutare o meno l'acquisto, prendere mentalmente nota di quel titolo che comprerai la prossima volta, che già stai quasi in rosso sul conto e comunque ne hai già presi tre.

Un bagno che possa chiamarsi tale, e,parlando con licenza, un bidet. 
Voi cisalpini non avete idea di quanto le terme romane siano impresse a fuoco nel nostro DNA. 
Per la maggior parte delle persone,qui, il succitato sanitario non è altro che un' inutile bacinella che ruba solo spazio. Il bagno è considerato un angolo triste della casa, utile soprattutto a stipare ogni oggetto possibile immaginabile di non pronto utilizzo. 
Per lo piu' il wc è ancor piu'tristemente sistemato altrove, in uno sgabuzzino senza finestra.
Ma porco cane, io voglio che l'aria fresca entri ad eliminare il ricordo delle tossine radioattive e potenzialmente letali per i recettori nasali che sfratto dal mio corpo. E invece no, devo convivere per un po' con la certezza che anche gli angeli come me mangiano fagioli, perchè l'inutile colonne sèche che dovrebbe portarsi via gli odori è evidentemente ostruita dall'interno dalla polvere e dall'impossibilità fisica di servire ad alcunchè.

Una generalizzata eleganza della città, maggiore pulizia delle strade, gente che non sembra appena scesa dal letto o uscita dalla doccia, negozi e vetrine piu'belle e piu' trendy, pure dei posti che frequent(av)o io, quindi necessariamente non di lusso.

IKEA (occhei, sparatemi)

I mercati non alimentari, leggete Crocetta, Benefica, Palestro, dove trovare abbigliamento e scarpe a poco, anche pochissimo.

Alcune cose che non mi mancano nemmeno un po'.

L'incessante rumore del traffico. Stridor di freni e porte dei pullman sbattute. Ragazzini cretini con marmitta del motorino truccato. Strombazzamento perenne. Traffico da ora di punta alle tre del mattino.

Code ovunque. In posta. In banca. Negli uffici comunali. Dal medico specialista che paghi uno sproposito. Al cinema. Al bar per fare la pipi'.

La neve. Il freddo sei mesi all'anno. Il cielo di colore incerto. La cappa quasi solida di calore estivo . L"odore non proprio di rose dell'aria. I luoghi di villeggiatura in montagna che non se ne puo' piu'.

La gente che non paga il biglietto sui mezzi pubblici. La vecchietta rompiscatole che si lamenta alla posta,in stazione, od ovunque ci sia una fila (cioè in ogni dove, vedi sopra) perchà non è possibile, che con tutti i disoccupati che ci sono, che si stava meglio quando si stava peggio eccetera. L"espressione sempre corrucciata di tutti. L'homo strombazzantus che ti scassa di clacson contemporaneamente alla comparsa del verde al semaforo.

La sensazione di non poter uscire di casa senza essermi almeno truccata, vestita e pettinata da minimo sindacale. Lo so che è un po' in contraddizione con quanto detto sopra, ma qui riesco a essere molto piu' naturale senza sentirmi in colpa. Non sempre, non tutti i giorni, ma se ppo' ffa'.

La necessità di usare sempre la macchina. Meraviglioso, Nizza e' talmente ben servita e i parcheggi costano cosi' cari, che in quasi tre anni  ho fatto con l' auto meno di diecimila chilometri.

La cronica mancanza di lavoro, il conseguente atteggiamento di schiavitù da lavoro per gli  happy few che un'occupazione ce l'hanno, la totale mancanza di diritti, lo stigma sociale sulle donne che lavorano part time - qui praticamente tutte le donne lo fanno, e si chiedono come potrebbero fare il full time tenendo famiglia. Se po', se po'.














lunedì 22 settembre 2014

Anatomia dell' irrequietezza

Lo so, lo so, é da tanto, tantissimo che non scrivo.

Non dovrei comportarmi cosi',se fossi una blogger seria, ma  non lo sono: io scrivo solo quando ho qualcosa da dire. 
E poi c’è stato tutto il bordello con  Al, ed in questi mesi i miei pensieri pesanti convergevano li’: un certo pudore non mi ha permesso di  scriverne se non per coloro che mi conoscono di persona. 
Non me ne vogliano i miei due lettori del Rapanello , è  che per certe cose non sono brava a purificare il dolore urbi et orbi, ho bisogno dell’abbraccio,  sia pure a distanza, dei miei amici, di coloro che conoscono tutto il vissuto, alcuni di loro praticamente dall’inizio, fino a risalire all’adolescenza; insomma, è un'azione liberatoria riservata un po'borderline. 
Ecco,non riesco a farlo in mezzo alla strada davanti a chiunque. 
   
Quindi, tornando nel fantastico mondo del Rapanello Azzurro - mi sa che cambiero’ nome al  blog, assimilandomi al colore della costa dalla quale  il vostro umile ortaggio scrive - ­ non ho spunti particolarmente  interessanti da sottoporvi; sono un po’, come dire inebetita, al rallentatore, leggermente tumefatta.   La cosa che mi viene meglio, negli ultimi tempi, è dormire: fatico, fatico orribilmente nella giungla  dei rapporti umani ,delle culture non condivise e della vita pratica. Non tanto nel fare o dire le cose, ma  nel cogliere i non detti, o i troppo detti, o quello che per Loro (i Galli) è scontato, e per me no; insomma un Sisifo in gonnella -­ per inciso, un mito degno di una telenovela sudamericana. 
Quindi, dato che in questo periodo mi sento la persona sbagliata al posto sbagliato, dormo. 
Non so se succede  anche voi, ma io faccio dei sogni strepitosi. 

Scene coloratissime in posti fantastici, con una  natura selvaggia o metropoli vibranti. Vivo una vita parallela fatta di viaggi, di spostamenti, di  treni, autobus e ascensori. Per chi già stesse malignamente insinuando che c’è del malizioso in tutto cio’, per la precisione non sogno aerei al decollo; in quel piano di consapevolezza ,pero’, effettivamente sono always on the move

Come se la  mia vita non fosse già fin troppo movimentata, se la confronto con quella di un sacco di persone  che conosco. Persone che fanno placidamente lo stesso lavoro da trent’anni, vivono con lo  stesso partner da venti, passano vacanze e momenti di relax con amici conosciuti a scuola o  addirittura con i propri familiari, che, ça va sans dire, evidentemente frequentano piu’ o meno dalla nascita. 



Li invidio. Tantissimo. 
L’ortaggio,qui, avrà cambiato tipo venti volte lavoro, avuto un discreto numero di fidanzati piu’ o  meno riusciti (ma, spezzando una lancia, due amori grandi, ad oggi), traslocato almeno sei  volte negli ultimi vent'anni.
E non si da’ pace dal non riuscire a trovare uno straccio di centro di  gravità permanente. Anzi, con l’età peggioro, riesco sempre meno a vedermi in un posto per piu’ di due o tre anni, l’insofferenza monta nei confronti di coloro che hanno legami  non tanto  di coppia, quanto piuttosto di tipo genitoresco. 

Qua,poi, tutte le donne passano il meglio dell’età fertile tenendo ‘a panza dai venti ai trent’anni, guidando  trenini di carrozzine e pascolando moltitudini di figli, tenendo conversazioni piu’ o meno a senso  unico sull’argomento bambini, pianificando tutta la loro vita intorno ai bassotti, passando dallo  stato di madri,multimadri, madri di figli ado, e ribaltandosi con gioia nella  nonnitudine a cinquant’anni. Tutto cio’ senza un’ombra dell’italica tendenza al godere del martirio, al contrario:in totale souplesse. Io mi aggiro tra di loro, saltando le carrozzine e circumnavigando le biciclettine, col dente avvelenato e la carogna in corpo.
Sia chiaro: a me i bambini piacciono, e i ragazzini mi sono simpatici. 
E' l'atteggiamento di un certo tipo di madre che mi fa lun brutto effetto: quella 
che ha segnato un goal, raggiunto uno status, centrato un bersaglio. 
Quella che a ogni figlio prodotto ti dà il cinque. 
Mi si trasforma in un sottile ma resistentissimo laccio attorcigliato attorno alla carotide.
Sarà l'espressione di cio" che ho vissuto da figlia, chi lo sa.

Sia detto senza alcuna acredine ma con grande sincerità: io sof­fo­co.   
Gna fo’. Io devo andare

Saro’ contro natura? Pazza? Zitellissima? 
Puo’ essere, ma io, forse in  pieno climaterio, penso solo a risparmiare per andare a New York. O in Danimarca. O in  Australia. Mi sono iscritta a un corso di flamenco per scaricare un po’ di vitalità compressa.  Non vedo l’ora di andare in pensione, sperando di essere ancora funzionante sia di corpo sia di meninge, per fare un milione  di robe che non hanno per niente a vedere con la stabilità. Mi vien solo da pensare a come mi piacerebbe cucinare un brasato coi funghi per i miei amici.   A fare un giro in moto (non guido io, eh?portatemi). 
A comprarmi delle Louboutin - ­chi mi legge  su Facebook abbia pazienza, sono un po’in fissa con queste scarpe - ­ o una borsa di Chanel.   
Non molto decrescente, come proposito,ma dovete scusarmi, devo essere qualche tipo di  adolescente attempata. 
E non credo proprio di essere guaribile, no. Auguri, Rapanello.

domenica 29 giugno 2014

I say tomato

Bene, sono in Gallia da due anni e più, e linguisticamente parlando pensavo di essere messa benino.
In effetti, ormai capisco bene ciò che mi viene detto al telefono - e chiunque sia stato all'estero sa quanto sia difficile sostenere una conversazione telefonica in una lingua che non è la propria, senza l'aiuto della mimica facciale - così come capisco il telegiornale, la gran parte dei dialoghi dei telefilm, ed evidentemente il francese parlato quotidianamente, soprattutto quello dei parigini. La distinzione va fatta,perchè vivendo io nel Sud del paese,ho a che fare con un accento spesso e rugoso, ben diverso da quello dei nativi della capitale,che in generale sembrano tutti essere stati allevati a pane e Académie Française.

Ora : io lavoro presso uno studio dove i miei colleghi, tutti nativi della regione, chiaramente parlano quell'altro francese. Tragedia.

Sono una discreta conoscitrice della mia lingua madre, una a cui a sette anni fu regalato un Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari, che ama i congiuntivi, le perifrastiche  e le subordinate alle coordinate, e sono abituata a servirmi del linguaggio come arma di distruzione di massa. 
Mi serve per fare la buffona (più che altro), per conversare, vendere, sostenere tesi personali più o meno probabili, per baccagliare il sesso forte (per i non sabaudi, baccagliare è il termine piemontese che indica un certo tipo di allegra seduzione linguistico-comportamentale). 
Ripeto,tragedia in pausa pranzo.
Questi nuovi amici, intanto, si conoscono da un'eternità, e quindi hanno tutto un loro lessico familiare che sospetto potrebbe essere roccioso anche per altri galli non cresciuti alla loro scuola.
Non paghi, si mangiano le parole, inghiottono pezzi interi di frasi,s volazzano tra i c'est clair e gli impec, si inabissano in gorghi di suoni nasali.

Credo che potrei vivere la stessa esperienza se lavorassi che so, a Peschici o a Castellina Marittima, con la differenza però che potrei attingere all'intuito e all'esperienza che derivano dall'utilizzo di una lingua comune.


Qua, invece, e questo mi fa imbufalire, mi tocca rallentare alla grande la mia famosa lingua a rasoio e relativa velocità di risposta e rilancio, perchè il processo generale si fa necessariamente macchinoso: comprensione (e non è affatto ovvio); traduzione; eventuale ricerca nei cassetti della mente di sinonimi e contrari, appunto, per parole che non conosco,porco cane, mentre me ne saltano alla mente quattrocentosei che sarebbero perfette alla bisogna se solo stessimo parlando in fottutissimo italiano; eventuale rimaneggiamento della frase e abnorme utilizzo della perifrasi, e alla fine, vivaddio, risposta. 

Capite bene che questa roba appesantisce un briciolino la qualità e la freschezza del mio eloquio, col risultato che spesso non dico un bel niente, cosa che mi fa sentire alquanto imbecille e molto, molto frustrata.
Mi sento un po' un fantino senza cavallo, un musicista sordo, un cuoco senza pentole. Ma, soprattutto, non riesco a far capire chi sono. Che magari, in certe situazioni, può essere un vantaggio, ma in realtà non mi permette di far passare un miliardo e mezzo di messaggi che sono necessari se si ambisce a far parte di un gruppo. 

Magari succederà anche a me come a Banderas nel Tredicesimo Guerriero. 
A forza di ascoltare,uscirò nel bel mezzo di una conversazione che mi riguarda, rispondendo a tono in perfetto norvegese antico.


domenica 8 giugno 2014

L'invasione degli ultracorpi

Un brutto ceffo. 
Flaccido, sporco, sciatto,volgare, senza nessun rispetto per le regole sociali.  Non si lava, non si cambia d'abito, dorme vestito, si toglie la dentiera mentre mangia.
Nessun rispetto per il prossimo, completamente concentrato su stesso. Si chiama Zheimer, Al Zheimer.
Più gli si spiega, meno si adatta.  
Sfida la pazienza con l'arroganza, risponde a schiaffi alla gentilezza, e poi ti spiazza con un bacio pieno d'affetto. Impossibile volergli bene, comunque, impossibile capire o comunicare. 
Ti guarda con quegli occhi a volte completamente vuoti, più spesso carichi di rancore, sempre più raramente con profondità e amore. Al Zheimer è il conquilino di mia mamma, nel senso che abita mia madre. La infesta. E non esiste diserbante, prete esorcista, autorità di qualunque tipo che tenga. La tiene prigioniera,la svuota, la rende un'aliena minacciosa come in certi film di brutta fantascienza, e si manifesta in discorsi assurdi, senza soggetto, senza nomi e pronomi, senza legame con qualsiasi cosa. La immobilizza in sguardi vuoti e astiosi, in ragionamenti senza ragione, in cattiverie figlie di un passato reale o presunto.

Mi chiedo quanto tempo gli ci vorrà prima di compiere la sua opera e spegnere tutti gli interruttori che rendono una persona un essere umano e non un melone o un'abat-jour. 
Per adesso ha fatto un po' più di metà del lavoro, e così delle volte la mamma fa capolino, e puo' essere dolce e sorridente oppure autoritaria e ingiusta, esattamente come è lei. 
Ma almeno so chi è, e mi permette reazioni relativamente adeguate.
Quando invece è Al che parla, è un quotidiano di gesti ripetuti all'infinito, di silenzi infiniti e vuoti, di crisi d'ansia e di pianto paralizzanti. Notti che diventano giorno e giorni che diventano notte. Un'astronauta sparata in una navicella spaziale, direzione galassie esterne senza navigatore né piani di volo.
Inutile parlare tre o quattro lingue, quella lì non te la insegna nessuno.
La pazienza è un lusso necessario, ma Al è pure un assassino seriale che si porta via anche coloro che cercano di aiutare e stare vicino a quel corpo mezzo vuoto e mezzo pieno.
Brutta e triste cosa, non poter immaginare un futuro, nemmeno minimo, proprio per chi ti ha messo al mondo.

domenica 25 maggio 2014

Come in, we're open

Questa è una cosa che mi lascia perplessa, ma contemporaneamente mi fa davvero molto piacere.

Un sacco di gente legge il Rapanello dagli USA! Ma perchè? 
Nel senso: cosa vi incuriosisce, amici yankees? Il fatto che un'italiana viva in Francia? Che abiti sulla French Riviera? Che sproloqui di qualsiasi cosa le frulli per la testa? 
Non lo so, ma mi piace un sacco: ho avuto l'opportunità di avere relazioni strette con qualche autoctono, e mi ha sempre incuriosito la totale differenza di cultura e pensiero tra gli Europei e gli Americani - o perlomeno, tra me e loro - nonostante si appartenga alla stessa metà di mondo diciamo civilizzato.

Ricordo sempre con divertimento la spesa settimanale con un fidanzato made in Indianapolis che avevo un po' di anni fa: 48 rotoli di carta igienica, 24 bottiglie di Sprite, 12 litri di latte, la ricerca senza esito dello sciroppo d'acero "noi- italiani-NON- usiamo-lo-sciroppo-d'acerooooooo " e varie altre amenità, come il suo sconcerto nel dover guidare una Ford lunga meno di sei metri (aveva comprato una vecchia Fiesta), fare ottanta chilometri di tragitto andata e ritorno per andare al lavoro la normale amministrazione e via così.

Datemi segni di vita, my friends. 
Ditemi cosa vi incuriosisce, che avere l'opportunità di giocare alla superstylish e colta Europea nello spiegarvi la differenza tra il Gotico e il Romanico di una cattedrale francese è stata un'esperienza impagabile.

martedì 22 aprile 2014

Sei mesi in Tibet

Dal 31 ottobre al 30 aprile ci sono giusti giusti sei mesi. 

Disoccupazione, oh cara. 
Mi sei capitata tra capo e collo, senza nessuna spalla su cui piangere, in un paese che non è il mio, in palese difficoltà di inserimento culturale - per inciso, se decidete di emigrare, fatelo prima dei 35 anni o per amore dei vostri bambini. Si è più vergini mentalmente, meno attaccati alle abitudini, meno lamentosi, meno ipercritici.

Ma voilà!! guarda che mi tocca vedere. Come forse vi ho già detto, quaggiù se perdete il lavoro vi aiutano, non vi tengono la testa sotto l'acqua mentre affogate, non vi soffocano col vostro cuscino nel sonno. Potete pure concedervi il lusso, come peraltro i Galli fanno senza suggerimento, di aspettare ad accettare una proposta anzichè l'altra, potete scegliere (non ci posso credere) di non partecipare a un colloquio perchè conoscete l'offerta a priori e non vi sembra vantaggiosa. Già, perchè di colloqui qua ne fate più d'uno in sei mesi, se davvero cercate lavoro. Nessuno vi chiede quanti anni avete e se avete figli. Qui tutti hanno figli, e anzi sono io la vera eccentrica, dato che non ho partecipato al ripopolamento del pianeta.
I Galli riescono pure a lamentarsi perchè non prendono la disoccupazione pari al cento per cento del loro stipendio, ma solo di circa due terzi. Ho provato a proporre a qualcuno di loro un piccolo stage di vita pratica nel Paese dei poeti, dei santi e dei navigatori, ma nessuno ha colto l'ironia.

sabato 1 marzo 2014

Tra genio e follia

Ammettiamolo, dai.

Monsieur Goude, lui sì che è geniale.
Non siamo tutti geni creativi, commentatori politici brillanti, artisti innovatori, scrittori evocativi.
E'impossibile che ognuno di noi nasconda un'incredibile complessità di pensiero, che tutti possiamo dare una svolta originale e vincente alla nostra vita,e che tutti troviamo il sacro graal della genialata che renderà la nostra esistenza bella, totalmente degna di essere vissuta, interessante,profonda, e anche lucrativa. Perchè è a quello che il trend generale ci spinge: scrivere il bestseller di successo, aprire l'attività più figa mai vista, diventare lo stilista,il fotografo,il pittore,il grafico, il blogger,l'imprenditore,lo sciatore, il mangiatore di fuoco più strepitoso e ispirante mai visto. 

lunedì 3 febbraio 2014

Ad uso e consumo


Esempio meraviglioso di downshifting gallico, in una delle valli alpine più belle e meno commerciali che abbia mai visto, il Queyras appunto, che si trova tra il Mercantour e la Valle di Briançon, quindi a metà tra la mia vita passata e quella presente.
Non ricordo il nome del paese dove ho fatto questa foto nel 2010, ma si trattava senza dubbio di un posto piccino, silenzioso, in mezzo a una foresta di pini verdissimi e di prati alla Heidi.

Non un'autostrada,non un centro commerciale,non una cabinovia o un palazzone in stile baita di dieci piani. 
"Tout le monde n'est pas pret à supporter": è meraviglioso constatare direttamente che davvero non tutti sono pronti a sopportare una babele di turismo e snowboarder sia pure pronti a spendere e anche tanto...sembra assurdo, visto da qui

Ma per fortuna questa mentalità esiste,spinge e fa sempre più vittime felici. Ce la farò anch'io, prima o dopo.
Meglio prima. Persino qui.

mercoledì 29 gennaio 2014

Una barca nel prato

Parlo, ma non esprimo.
Faccio le facce, ma non passa il significato.
Alle mie domande, ben che vada, mi si risponde qualcosa che non intendevo.
Le mie risposte, dovrebbero essere altre.
Benvenuti nel Paese della Totale Incomunicabilità. 
Almeno al lavoro.
Meglio precisare: alla ricerca del Lavoro Perduto.
Sono un venditore, di provenienza Italica, quindi leggermente sospetta, che partecipa a svariati colloqui: cos'è tutto questo sorridere, gesticolare (ricordo che sono nata in Sabaudia,quindi capirai), raccontare con dovizia di particolari, per di più ridendo, o con ironia, cos'è tutta 'sta caciara, insomma?? Che poi, per carità, les italiens, j'adore...sissì, ma intanto mi guardate come se avessi dimenticato la camicia di forza a casa, avessi bevuto una Red Bull di troppo, c'avessi delle MDMA in tasca.